Una città a dimensione d’uomo

“Noi desideriamo la graduale ascensione delle classi operaie ed agricole… l’intervento dello Stato è necessario e deve consistere in una saggia legislazione sociale intesa a comporre i prevedibili conflitti, a tutelare il capitale, a proteggere la manodopera in modo che ogni singolo cittadino sappia quanto gli sia lecito ripromettersi dalla sua forza economica e dal suo lavoro, in modo che il contratto sia sacro fra le parti.”

Vittorio Emanuele Marzotto 1901

Per una di quelle sempre più frequenti capriole della storia a cui ci dovremo abituare, la conoscenza delle pratiche sociali dei Marzotto, i capitani d’industria che si sono alternati per cinque generazioni, e del pensiero che le ha generate, è di straordinaria attualità. Per certi aspetti, il versante sociale di questi imprenditori appare più importante persino rispetto allo sviluppo aziendale.

A che cosa è dovuta questa attualità?

Nel XIX secolo già si istituiscono attività, come gli asili nido o le maternità, la cassa malattie o la casa di riposo, che vengono considerati dei diritti indiscussi delle maestranze, non delle concessioni o, come è stato detto, l’espressione di un paternalismo conservatore. Una definizione che ha sempre presupposto una sorta di inferiorità di natura di chi lavora alle dipendenze.

E’ sostanzialmente impossibile rinvenire tracce di questa concezione nei Marzotto, e questa modernità si evince dai grandi principi e dai piccoli particolari di cui è affrescata la storia che qui narreremo, con dei “medaglioni” concisi e semplici, che ridiano visibilità a eventi, istituzioni, persone significative per la costruzione corale che è stata la Marzotto, intesa sia come famiglia che come impresa, per Valdagno.

Il filo fondamentale da cui si dipana questa avventura è l’umanesimo industriale.

Straordinariamente attuale, per il presupposto di concepire l’industria come riconoscimento del valore delle persone, generatrice di ricchezza per tutti e fondamento di crescita sociale e civile.
L’umanesimo industriale rimuove l’inferiorità sociale, non la accetta come uno stato di natura.

Questo concetto anima sia le iniziative che fioriscono addirittura prima dell’Unità d’Italia (1866), sia il manifesto per le Istituzioni Sociali che Gaetano Marzotto junior consegna alle stampe nel 1951. E continua nella storia di oggi. Ma il presente è sempre debitore, per la forza dei valori e delle istituzioni che lo animano, di una radice che porta. Non ricorro per caso al termine “radice”.

Tutta la vicenda del boom economico italiano, in questo per nulla diverso da quanto è successo nei grandi Paesi europei o negli Stati Uniti, è caratterizzata dal binomio sradicamento e urbanizzazione con l’inserimento nei grandi stabilimenti industriali. Invece, nello spirito di intrapresa dei Marzotto si vede sempre in controluce la filigrana del radicamento delle persone che lavorano in fabbrica attraverso il lavoro, il reddito, i servizi, la casa e la cura. L’umanesimo industriale si concepisce come la forma di economia che prima di tutto mira a soddisfare i bisogni sociali di chi crea ricchezza. Poi, solo poi, viene tutto il resto.

C’ è una prova inconfutabile che questa è l’impostazione che ha connotato l’azione imprenditoriale dei Marzotto, nessuno escluso.

E che rappresenta una conferma che non si tratta di paternalismo conservatore.
Il paternalismo, infatti, come quella che oggi si definisce filantropia compassionevole, è una condotta tipicamente reattiva, di reazione a moti e turbative provenienti dai settori più poveri e marginali della società.
Invece, come vedremo fase per fase in questa storia, le iniziative dei Marzotto in campo sociale sono anticipatrici, non reattive. Sono figlie di un’impostazione, anzi di una visione della società che non separa la forza lavoro dalla persona nel suo complesso.
L’umanesimo industriale diviene una cosa sola con l’umanesimo sociale.

Luca Romano