La Città Sociale e il patrimonio industriale

Molte delle fiorenti attività sociali che l’Azienda Marzotto conferisce alla Fondazione nel 1959 erano state avviate nel 1934 – 5 collocandole nei nuovi edifici costruiti con questa specifica destinazione nella Città Sociale: l’Asilo e il Nido, la scuola elementare, l’orfanatrofio femminile, la Casa di Riposo.

A questo nucleo centrale di istituti vanno poi aggiunte le colonie alpine a Pian delle Fugazze e quelle marine a Jesolo; e una serie di attività di contorno, solo apparentemente minori, sempre impostate su una forte cifra sociale: l’ufficio di assistenza sociale di fabbrica, la cucina, il guardaroba, la lavanderia, il CRAL aziendale, gli spacci alimentari e il forno.
Il repertorio di attività che vengono ricollocate fisicamente all’esterno del perimetro aziendale ha messo forse un pochino in ombra quelle che invece continuavano a svolgersi dentro le mura aziendali. Spostiamo i riflettori sulla medicina di fabbrica nel periodo tra le due guerre, argomento peraltro ancora trascurato dalla storiografia specialistica.

Nel caso dei lanifici di Valdagno, il servizio sanitario, che successivamente sarà denominato “Poliambulanza” fa un vero e proprio salto di qualità nel 1927, collocato nei locali luminosi della cosiddetta “nuova portineria”.
Lo guida il dottor Giovanni Papesso, che rimarrà di ruolo fino al Dopoguerra.

Una figura da lumeggiare di più, anche invocando testimonianze di famiglie discendenti dei lavoratori di allora, per l’encomiabile capacità di dirigere un’equipe molto valida di specialisti: Giuseppe Pozza (radiologia), Alessandro Trettenero (oculistica), Leone Rigo (dermatologia), Giuseppe Vicentini (ginecologia e ostetricia e otorino laringoiatria), Alma Pozza Sacchetto (pediatria), Giuseppe Veronese (odontoiatria), Marchetti* (infortunistica nelle fabbriche) e Zordan* al laboratorio di analisi (*non ho trovato i nomi propri).

In una relazione del 1932 sul quinquennio della Poliambulanza, il dottor Giovanni Papesso ricapitola con rigorosa precisione le funzioni del servizio sanitario: lo scopo primario è quello di dare all’operaio il mezzo immediato di curarsi dalle improvvise lesioni sul lavoro; poi di avere un consiglio pronto sulle malattie e la cura durante il loro corso; di isolare l’individuo disgraziatamente colpito da malattie contagiose e, infine, di selezionare maestranze fisicamente idonee.

Anche allora, il tracciamento del contagio, è fondamentale: si tratta naturalmente della tubercolosi, contro cui, in quegli anni, in tutto il Paese, su impulso del regime fascista, si “combatte una santa umanitaria battaglia”.
Il direttore riscontra una comprensibile diffidenza dei lavoratori nel farsi visitare, preoccupati di perdere giornate di lavoro e di paga.

Allo stesso tempo, però, rivendica una necessaria severità nello svolgimento delle verifiche.

E’ questa, infatti, che svolta con capillarità e diligenza, mette nelle condizioni di individuare la malattia ai primissimi sintomi, impedendo “un ulteriore e forse irreparabile sviluppo con danno a se stesso ed alla propria famiglia”.

Da questa cronaca iniziale delle attività si può trarre più di una considerazione.

  • La prima è che Marzotto non perimetra l’attività sanitaria all’infortunistica di fabbrica, ma la estende alle malattie professionali, a quelle connesse alla costituzione fisica anche dei potenziali neo assunti e di derivazione più latamente “sociale” sia per origine che effetti fuori dalle mura della fabbrica.
  • La seconda è che questi obiettivi compositi e a vasto raggio implicano sia il reclutamento di personale sanitario di eccellente professionalità, sia l’acquisto di macchinari estremamente d’avanguardia.

Una precoce cultura della salute si radica così a Valdagno.
Con persone e con strumenti, e poi sarà così negli altri stabilimenti con le comunità di riferimento.

Si conferma l’idea che l’umanesimo industriale dei Marzotto alimenta una concezione evoluta, ampia, di umanesimo sociale che non può essere ridotto a mera strumentalità al lavoro.

Luca Romano